Mile 14
La strada si allarga all’improvviso ma so quello che mi aspetta tra poco, prima però è tempo della frutta, ficco le mani nello zainetto e per sicurezza conto le barrette: 1,2,3,4,5 si, ci sono tutte come mi ero detto prima della partenza: 1 ogni 5 km partendo dal ventesimo; in realtà sono già al 21° ma non facciamo troppo i pignoli. La apro e la mangio (che è un poco più facile di bere ma non troppo) e davanti a me si para il Pulaski Bridge che sulla cima più alta (non che sia un ponte immenso) ha un cartello al tempo stesso impegnativo e liberatorio: quello della mezza maratona.
Guardo l’orologio e per la prima volta mi metto a fare due calcoli perché si, so che sto andando veloce e che sono sotto il tempo che vorrei fare ma… quanto?
12 minuti. Se ho fatto i conti giusti sono 12 minuti sotto il tempo che vorrei (tempo che non ho mai nemmeno avvicinato in prova) ed è una bella sensazione. Certo manca ancora mezza gara, certo mi hanno spiegato dove incontrerò le difficoltà, certo… certo,… però c’è quella strana intima sensazione che tutto stia filando meglio di come ce lo si poteva aspettare e c’è anche il fatto che i “riposini” di qualche secondo da fare ogni 4 km in fondo non… non mi mancano.
Mi dico che proverò a saltarli fino al trentesimo, ma in realtà so che ho appena deciso di provare a correre sempre senza fermarmi.
Quando si scende dal ponte ecco il cartello Welcome to the Queens, ancora pochi centinaia di metri e si entra sulla 48th avenue ed immediatamente capisci che qualche cosa non torna.
Silenzio… assoluto…. Silenzio.
Me l’avevano detto, ci sarebbe stato poco meno di un km che sarebbe passato dove la maratona “eufemisticamente parlando” non è gradita.
Ed ignorarla è il loro modo di esprimere il concetto.
Peraltro: punto primo il messaggio viene fragorosamente recepito e, punto secondo, ti abbassa un filo l’adrenalina il che forse non è nemmeno così male.
In breve si svolta sulla Vemon Boulevard e poi sulla 44th Drive; li proprio all’angolo una coppietta di quarantenni in carriera e ben vestiti si sta godendo la maratona passeggiando in senso contrario; lui mi vede, da di gomito a lei e mi indica, si fiondano sul bordo del marciapiede e mi urlano a squarciagola: DAI ITALIA!!!, li saluto mentre continuano a incitarmi felici di avere trovato un loro connazionale (si, loro erano davvero italiani); nel frattempo è vibrato a 5,28, la coppietta viene fagocitata dalla ressa e ci si ributta nel delirio.
Miles 15-16
Due miglia difficili ma non quanto averli vissuti a casa… o almeno così ho scoperto dopo.
Prima si percorre tutta la 44th drive, poi si prende una piega a sinistra con un muro umano che ti applaude proprio davanti e ci si ritrova per la breve Crescent street che immette direttamente sul Queensbro Bridge.
E’ un ponte doppio visto da fuori: nel senso che ad una prima campata ne segue una seconda e il portante centrale è piantato su un isolotto proprio nel bel mezzo dell’Est river; visto da sopra… non te ne accorgi proprio e ti sembra un ponte: punto.
Anche questo è a due livelli e tutti i corridori passano sotto, il che per me non è una novità visto che sono partito dal livello basso anche a Verrazzano ma un poco mi spiace.
Mi volto a sinistra e per la prima volta torno a vedere lo skyline di Manhattan, cerco di rallentare un poco la falcata, la salita si fa sentire, davanti a me vedo una maglietta di Terramia e scambio pure due parole “ma quando diavolo finisce la salita?” “mai… credo di essere qui da 10 minuti” ci sorridiamo e scappo via lasciando Terramia indietro.
Vibra tre volte: all’inizio un 5,13 in media con tutti i tempi, poi un 5,44 all’inizio della salita e infine un 5,58 poco prima di svalicare il punto più alto del ponte: non mi preoccupo, anzi sono abbastanza contento perché il ponte più difficile è andato (si badi… non ho detto il punto, ho detto il ponte) e ho perso una ventina di secondi sul ritmo medio non di più, ho ancora vari minuti di vantaggio, ficco le mani in tasca e apro la seconda barretta di frutta per festeggiare i 25 km e comincio a vedere il ponte che scende e scende anche parecchio, recupero energie, Gandhi è sempre li davanti a me, avrei anche la tentazione di superarlo per vedere che numero di pettorale ha ma lascio perdere: scemate, invece ora si prende la rampa di uscita dal ponte e vedo i cartelli del 16° miglio, tutto ok.
Tutto ok…. Sembrava a me. A casa invece, ho saputo poi, che i due tempi non proprio brillanti avevano scatenato il caos e gettato il Monno nel panico poiché a nessuno era venuto in mente di mettere in relazione il tempo più basso con il fatto di essere in salita su un ponte, da cui il panico con il Monno che aveva anche avuto l’idea (direi l’ideona) di “telefoniamogli e diciamogli che sta andando piano!”: Mamma Ova ha riportato il cucciolo a più miti consigli.
Mile 17
E’ un miglio emozionante perché dall’alto del ponte ti butti “giù” sulla sinistra con una grande pendenza, io sono sempre insieme a Gandhi e poi fai un loop sinistra-sinistra ripassando sotto il ponte stesso e sbucando sulla first avenue in Manhattan.
Di colpo stai correndo la maratona di New York come l’immaginario collettivo e anche il tuo stesso immaginario se l’è sempre immaginata: due ali di folla un muro di grattacieli da entrambe le parti ed una lama di luce che ti arriva dritta dal davanti.
Per un attimo, ancora una volta, rimani spaesato (ricordiamoci che hai appena fatto 2 miglia abbondanti nel silenzio assoluto del ponte) ma il frastuono è talmente forte che ti ripigli subito.
Vibra una prima volta a 5,20 poi passo davanti ad un punto di ristoro dove una coppia di ragazzi mi incita in perfetto Italiano, realizzo che non è la prima volta che qualcuno con il bicchierino in mano mi parla in Italiano ed elaboro una spiegazione: i volontari sono quasi tutti ragazzi giovani, probabilmente studenti universitari, molti in erasmus o simili, rispondo sempre loro con un cenno di mano e li ringrazio. Vibra di nuovo: 5,15 sono tornato ai miei ritmi: il ponte era davvero “solo” il ponte.
Miles 18-19
Si percorre tutta la 1st avenue andando dall’ upper Manhattan fino a tutto Harlem e mi do un morale calcio nel didietro per non aver mai contato quante sono le avenue: ma che ci voleva? Avrei saputo a che altezza ero! Ora lo so, sono 127 almeno sulla first avenue, ma ora non mi serve più saperlo.
Passo in 5,22 – 4,59 – 5,19 – 5,15 e per la prima volta non sono d’accordo con quello che mi era stato detto nella riunione del giorno prima. Si, è vero, la 1st è lunghissima ma non così in salita come mi era stato raccontato, certo le salite (che sono soprattutto all’inizio) si sentono ma ci sono anche le discese (soprattutto alla fine) e alla fine si bilanciano bene.
Ai lati è tornata la folla che avevo visto a Brooklyn ma se vogliamo ancora più chiassosa di prima. E’ un pubblico meno locale e più turistico, ci sono gigantografie di corridori e se hai la fortuna di passare a fianco a loro proprio nel momento in cui arriva il loro eroe vedi abbracci volanti, baci tra innamorati, bimbi che inseguono madri o padri, e madri che piangono alzando un cartello scritto in maniera sgangherata con il più tenero degli “I’m proud of you”.
Su, in pieno Harlem ricominciano le band ma questa volta non più rock ma qualche volta Black, qualche volta Swing, qualche volta rap, i palazzi si fanno via via più bassi e anche la gente diventa meno man mano che sali. Vedo una bimba vestita a festa che mi indica e grida alla mamma “Italy Italy!”
Strappo la mia terza barretta di frutta, incespico con la plastica, m’inzucchero le mani e rischio di mangiare anche la confezione: tutto sotto controllo.
Davanti a me tre corridori con la maglietta gialla a protezione di un corridore in mezzo a loro: è un non vedente, al braccio porta un braccialetto tenuto in mano da uno degli uomini in giallo: chapeau a lui e anche a loro.
Poi realizzo che ho appena tagliato il traguardo dei 30 km… ne mancano solo dodici.
DODICI! No dico… dodici!!! Negli ultimi sei mesi ho alternato corsette brevi a corse medie, corsette brevi a corse lunghe e corsette brevi a corse lunghissime. E quando dicevo “vado a fare una corsetta breve”… era di dodici km. Ok, dunque, stiamo calmi, in pratica è come se uscissimo ora da casa e ci mettessimo a fare la solita corsetta, … via… che ci vuole? Improvvisamente mi si impasta la bocca.
Mile 20
Si finisce la 1st avenue e si approda nel Bronx tramite il Willis Ave Bridge; un ponte abbastanza anonimo da dove puoi vedere una New York davvero mai vista: all’orizzonte silos, gru e un’infinità di container: deve esserci un porto.
Vibra a 5,31 e anche il quarto ponte è andato!
Poi la strada si butta a sinistra sulla 135th street ed appare il classico cartello Welcome into the Bronx, a reggerlo ragazzi in uniforme scuola, poco dopo famiglie intere sedute ai bordi con tavolini e sedie pieghevoli, oltre loro ci sono ragazzotti con l’aria di sfidarsi a vicenda in continuazione: tutti rigorosamente di colore; sembra la pubblicità dello stereotipo.
Mile 21
Qui è un dedalo di curve: curva a sinistra per Alexander avenue, curva a destra sulla 138th, curva a sinistra sulla 3rd avenue, curva a destra su Morris Avenue, doppia curva a sinistra prima sulla 140th e poi su Rider Avenue (questa doppia curva per circumnavigare un parcheggio di un supermercato tenuto regolarmente chiuso (dato che era circondato dal percorso di gara), di nuovo a destra di nuovo sulla 138th e su verso il Madison Avenue Bridge: quinto e ultimo ponte!
Detto così sembra infinito ma in fondo è solo un miglio.
Vibra: 5,26 – 5,30
Sono molto contento e ho una montagna di motivi: ho passato l’ultimo ponte, mancano meno di 10 km e sono tornato a Manhattan…
A voler esser pignoli forse per la prima volta, come direbbe Forrest Gump, “mi sento un po’ stanchino”; lo dicono anche i tempi che però rimangono sempre sotto il tempo target: meglio di così! Poi mi ricordo di una cosa e cerco con lo sguardo conferma, purtroppo ricevendola: cavoli, ho perso Gandhi!
Mile 22
Subito dopo il ponte si svolta a sinistra e s’imbocca la 5th avenue: si, quella “quinta strada”, solo un po’ più in alto di dove di solito si passeggia da turisti.
C’è un ristoro, lo evito (ho bevuto nel Bronx) in compenso per la prima volta vedo una deviazione, quasi fosse una piccola rampa per andare all’autogrill ma invece ti porta in un’area dove se vuoi un gruppo di massaggiatori ti sciolgono i muscoli delle gambe su due piedi: buffo, non ci avrei mai pensato.
Tra la 124str e la 121str la quinta strada non esiste, al suo posto un parchetto (Marcus garvey Memorial park) che noi costeggiamo tenendocelo sulla sinistra; qui le case sono tornate molto belle, il luogo è curato, ai bordi della strada soprattutto famiglie e cartelli per i propri parenti.
Vibra: 5,22 e ne mancano solo sette ma comincio ad esser stanco, l’ho già detto? Forse si, ma la verità è che mi sento davvero stanco, ragioniamo; 7 km sono pochi, dannatamente pochi, in fondo sono solo due giri dell’isolato di casa più un pezzetto.. piccolo.
Mi accorgo che la gente intorno a me è la stessa di Brooklyn ma io non sono più così entusiasta da scambiare high five con tutti: mi sono già abituato? No, non credo, piuttosto non mi sono accorto ma da qualche km sono un po’ più concentrato a correre, mi serve, sono stanco: si, questa volta sono sicuro di averlo già detto: strappo una barretta di frutta e questa volta la mangio senza complicazioni; unica eccezione la faccio per un signore che ha due cartelli in mano: “do you want to stop now?” sul primo, “How you dare?” sul secondo sotto il faccione di Greta; rido talmente tanto che quasi mi strozzo.
Mile 23
Central Park! Si!!
Superato il parchetto di prima si torna sulla 5th avenue e poco dopo si comincia a costeggiare Central Park; tutto, cambia, ancora.
C’è tantissima gente, fanno un tifo indiavolato ma, per la prima volta mi accorgo che qualche cosa non va. Vibra due volte: 5,29 e 5,25. Penso: ottimi tempi, non buoni come quelli iniziali (e vorrei ben vedere) ma pur sempre sotto il target; eppure… eppure c’è il tifo di prima, eppure i bimbi urlano “vai Italia” come prima eppure…
Poi ricordo, me lo avevano detto: “arriverete sulla quinta e nemmeno vi accorgerete che quei km poco prima e poco dopo l’ingresso a Central Park sono tutti leggermente in salita e le vostre gambe non sono più quelle dell’inizio: non ve ne accorgerete all’inizio, ma poi…”. Ecco, ora so cosa non va; comincio a contare quello che rimane: 5 km, solo 5 km, sono poco meno di due giri d’isolato di casa. Faccio fatica, si, ora faccio davvero fatica.
Mile 24
È la prosecuzione del ventitreesimo miglio in tutto e per tutto. Gente ammassata, grandi incitamenti, si costeggia central Park ma è sempre in salita.. leggera, costante salita.
Vibra a 5,53 il che mi dovrebbe certificare la stanchezza ma in realtà lo so benissimo da prima, è forse il miglio in cui guardo l’orologio più volte in assoluto, 38 km vuol dire che ne mancano 4, solo 4, vuol dire 1 giro dell’isolato e poco: più capito! Stai facendo la maratona di New York e ti mancano solo 4 dannatissimi km.
Non vedo più la gente intorno, guardo solo davanti, so che prima o poi dovremmo entrare in Central park e allora dovrei trovare gli archetti delle ultime tre miglia, non ho il fiatone, sto bene, lo sento, se soltanto questa strada la smettesse di andare in salita.
Poi una chicane destra-sinistra ed entro nel parco.
Mile 25
Mi desto di nuovo, ma d’altra parte non potrei non farlo visto che la strada davanti a me si chiude letteralmente; le ali di folla non sono sui marciapiedi ma sulla strada! Chi corre si assottiglia in centro e sembra di essere in una tappa alpina del tour de France (beh… non esageriamo ma quella è la sensazione); vibra a 5,35 bene, il peggio sembra essere passato anche perché la salita sembra essere meno ripida, a volte addirittura in piano. Ne mancano solo 3… un solo giro dell’isolato…
Ci sono una serie di curve, dolci, in mezzo agli alberi arancioni, rossi e verdi, è uno spettacolo incredibile e cerco di guardare e godermi tutto perché francamente questo è davvero improbabile che mi ricapiti, torno a vedere i cartelli delle persone: qualcuno aspetta di alzare un cartello con scritto “do you want to merry me?”… sorrido, ma davvero non posso fermarmi per aspettare il momento che quel cartello verrà alzato.
Vibra di nuovo a 5,36 in fotocopia a prima realizzo di essere al quarantesimo km e con la mano afferro l’ultima barretta: ormai sono un maestro a strapparle e mangiare il tutto senza problemi, poi realizzo che mancano solo due km: brividi
Mile 26
Brividi… perché improvvisamente un’altra leggera piega a sinistra e la strada comincia a scendere: ossigeno puro, le gambe tornano in forma come non mai e torno a pensare ma questa volta ne sono sopraffatto.
Meno di due km, meno di un giro d’isolato e tornano in mente tutti i milleepassa km fatti quest’anno, le alzatacce, le cose che ho imparato, gli incastri, i supporti e gli aiuti ricevuti, i consigli, esco dall’abbraccio della gente che mi ha sostenuto per tutto Central Park e mi trovo davanti al Plaza… che conta, eccome se conta, vero mamma Ova?, vibra: non lo guardo neppure più (sarà 5,36 ma lo scoprirò qualche giorno dopo) sono troppo occupato a ricacciare indietro le lacrime, non per altro ma voglio vedere tutto tutto tutto; passo davanti all’albergo (quasi quasi mi fermo… sorrido), poi realizzo che ha vibrato e allora è ufficiale: è l’ultimo km, l’ultimo di millecinquecentoquattordici e prima non ne avevo mai fatti, corro a bocca aperta ormai, come non si dovrebbe ma non importa più, arrivo a Columbus Circle e ci sono le TV, l’ultima rock band (ma questa è seria), ci si reimmette in Central Park ma questa volta ci sono barriere fisse che ci lasciano tutta la strada che vogliamo, con la gente intorno ovviamente, si risale un poco ma non mi da più fastidio, vedo solo le bandiere di tutti i paesi partecipanti e quella Italiana è li, tra le prime a sinistra; vibra ancora (5,39) ma rimango a godermi tutto perché ormai ci sono gli archetti degli ottocentro metri e poi quelli del ventiseiesimo miglio.
Miglio 26.2
0,2 miglia sono solo 320 metri, il tempo che segnerò (ma anche in questo caso lo vedrò solo qualche giorno dopo) sarà imbarazzante: 6,21 ma il perché è presto detto.
A sinistra e a destra ci sono tribune e malgrado i “pro” siano arrivati già da un pezzo, sono gremite.
Ho un debito verso questa città. Già da un po’ a dire il vero, ma devo ringraziarla anche oggi e allora mi giro a sinistra e applaudo, questa volta sono io che applaudo loro e ridò un pizzico di quanto avuto; poi mi volto dall’altra parte e bisso l’applauso.
Vengon giù le tribune.
Torno di nuovo a sorridere: e come le spiego tutte queste cose?
Infine, prima senza accorgermene, poi invece si… eccome, rallento, rallento, rallento, inconsciamente ma nemmeno troppo non voglio che tutto questo finisca e alla fine allargo le braccia e quasi cammino mentre passo sulla linea con due grandi scritte “Finish”.
Abbasso le braccia.
Ho appena corso la maratona di New York. (segue)