08/08/08 #3

 

(segue)

9 agosto 2008; ore 00.07 am.

“Venga, andiamo di la per fare le misure” … “Ehm,…. Dico a lei…. Mi sente?”

Sentire sento. Il problema è ricominciare a muoversi con raziocinio. No, dico: mi è appena nata la prima figlia… non è che capita spesso; comunque seguo l’infermiera buona nello stanzino preposto alle misurazioni di rito; intanto di la, con la pancia sgonfia e la donna tutt’intorno, rimangono l’infermiera nazi ed il luminare.

Prima un bagnetto veloce che trova l’apprezzamento dell’ovetta, poi un sondino infilato giù fino allo stomaco che non è accolto nello stesso modo (nemmeno da me), quindi una sommaria misurazione dell’altezza e della circonferenza cranica, infine sulla bilancia.

“Ora può prenderla in braccio”…”Ehm,…Dico a lei…Mi sente?”

Sentire sento, però secondo me sta meglio sulla bilancia… almeno ancora un pochetto. Ok, coraggio, la guardo un po’ preoccupato “come la tiro su?” Mi guarda decisamente preoccupata “Lascia perdere, non sei capace” Mi avvicino un poco “Magari mettendo le due mani così…” Mi guarda molto preoccupata “Non ci provare sai, è chiaro che va oltre le tue capacità” Allungo le mani titubante “Si, forse potrei così” Mi guarda terrorizzata “Gesummaria adesso mi fa cadere!”

Invece è tutto così naturale.

Io, il fagottino ed i Momo torniamo di la, dalla donna con la pancia sgonfia che sta riprendendo fiato; il luminare se n’è andato (come faremo mai senza di lui!), il fagottino si guarda intorno, scrutando il mondo per la prima volta.

9 agosto 2008; ora imprecisata

Finalmente contatto gli UCAS ed ho la netta sensazione che mi abbiano risposto da casa ma che abbiano riagganciato già in ospedale; scatto una foto per immortalare l’immortalabile, ci riposiamo un pochetto e quindi esco per la press conference. Ho un breve discorso che credo (sbagliando) essere auto esplicativo: “Mamma e bimba stanno bene, è nata pochi minuti dopo mezzanotte, non ci sono stati problemi, siamo arrivati in ospedale poco dopo le nove, mi hanno rispedito a casa ma subito dopo sono tornato di corsa, mi spiace non c’è stato tempo di chiamarvi: l’importante comunque è che stiano bene”. Tacciono un secondo,… solo un secondo. “Ma come sta la mamma? E la bimba? Ma davvero? E come mai dopo mezzanotte? E come sta la bimba? E come si chiama il dottore? Ma davvero? E l’infermiera? E quando ci hai chiamato? E come sta la bimba?” AIUTO “Ma come sta la mamma? E la bimba? Ma davvero? E come mai dopo mezzanotte? E come sta la bimba? E come si chiama il dottore? Ma davvero? E l’infermiera? E quando ci hai chiamato? E come sta la bimba?” AIUTO “Comunque potevi anche chiamarci prima! Vabbè, ti perdoniamo!” Rinculo in sala parto e comincio a pensare ad un bivacco onde evitare di dover uscire ancora ma l’infermiera nazi ci dice che dobbiamo andare in reparto e che di conseguenza dobbiamo tornare nell’arena. Chiedo se esiste un passaggio segreto, un corridoio di servizio, offro denaro…. Tutto inutile. “Ma non si preoccupi: ci penso io”

La scena è fulminea: scattano le porte scorrevoli, noi procediamo in direzione “reparto”, i 5 trepidanti (4 UCAS + zio della piccola) scattano all’unisono in direzione fagottino, l’infermiera nazi intima un perentorio “FERMI LI!”, i 5 s’immobilizzano, il fagottino viene girato verso di loro mentre l’infermiera spiega perché non si possono avvicinare: inutile, non stanno già più ascoltando; intanto il fagottino li scruta. Una decina di secondi dopo la nazi-infermiera guadagna il reparto e noi dietro di lei; le porte si richiudono. La nazi è una che ci sa fare! Una volta al riparo e ben protetta al di la del vetro, mostra il fagottino al popolo adorante. Io ne approfitto per salutare la donna senza più pancia e per sgattaiolare fuori dove aspetto finché nazi non ritira il fagottino dalla vista del popolo che solo in quel momento si accorge di me.

Alla fine non resta che guadagnare l’uscita (aria fresca, ci voleva). Incredibilmente mi ricordo anche dove avevo parcheggiato la macchina e ancora più incredibilmente non ci sono ganasce, plichi di multe o vigili ad attendermi. Lentamente ripercorro la strada verso casa.

9 agosto 2008; ore 02.07 am

Sono a casa. Solo. Non ho sonno ma sono stanco. Decido di andare a dormire, se riesco. Spengo la luce sperando di svegliarmi presto domattina; la mente ad una culla a pochi chilometri di distanza, sulle labbra un sorriso, in bocca un vago senso di Momo.

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